Aprile e il glicine credo siano un concetto unico, un mese di primavera color violetto tenue con sfumature di giallo, giusto? I grappoli di glicine sono edibili, profumati e ricchi di proprietà, si possono gustare direttamente dalla pianta se sono puliti e senza elementi inquinanti, in tisane e farne delle frittelle poi è oltremodo gustoso.. e così, raccolti direttamente dal mio “giardinoalimentare” come lo chiamo io, sono finiti impastellati sulla mia tavola. Se volete un’idea carina per un aperitivo o una merenda a km zero questa lo è di sicuro! Ma solo nel mese di aprile e poi di nuovo ad agosto in seconda fioritura!
La pastella che ho preparato io è molto semplice vegana e light, ma se ne possono preparare anche di più particolari…
Ingredienti:
200 g di farina 0
200 g di acqua
Un cucchiaino di sale e mezzo cucchiaino di zucchero di canna
Amalgamare bene con una frusta fino ad ottenere una consistenza simile allo yogurt per capirci e inserire delicatamente i grappoli di glicine per coprire con uno strato sottile tutta la superficie , e poi tuffare piano in olio caldo per la frittura. Io i fiori li ho lavati sotto l’acqua corrente e poi lasciati asciugare ma giusto per scrupolo in realtà era puliti ssimi.
Buon appetito!
CUCINARE CON I FIORI è il tema di oggi del contest delle #fooseperilfood su Instagram e si sono sbizzarrite su: @lacocinadevillanova @gheo_food @timoelenticchie @dalla_ada @alice_inw.land @instacucinacasareccia @lareginadelfocolare
Sembrava una moda fugace dei primi anni duemila, la passione di qualche homebrewer amatoriale, o una mera trovata di marketing di scaltri e consumati produttori? Invece no, la ri-scoperta delle birre artigianali è una ventata di tradizione, la celebrazione edonistica di un archeo-food in grande stile, che merita un’attenzione almeno pari a quella che i mastri birrai dedicano alla scelta di aromi, fermentazioni, colori e carbonazioni uniche e particolari e che l’industrializzazione ci ha fatto un po’ dimenticare, appiattendo e semplificando gusti e tipologie.
Sono i dettagli e le sfumature che caratterizzano un prodotto artigianale e nella birra costruiscono la moltitudine di sensazioni, in bocca.
Un po’ come è accaduto col pane nell’ultimo decennio, e la birra l’abbiamo sentita definire spesso “pane liquido” per la sua affine composizione, dopo anni di passivo consumo di pallide fette imbustate e panini sintetici in stile fast food, grazie alla tenacia di alcuni panificatori artigianali si è fatta strada la consapevolezza di ciò che significa discernere in fatto di pane vero, di sfarinati e lieviti utilizzati, di tempo e aspettative ,tutti elementi che cambiano il vero degustare.
La birra artigianale, che non è pastorizzata per disciplinare, conserva una ricchezza in vitamine, sali minerali e polifenoli che la rendono un alimento a tutti gli effetti. Ci sono birre infatti che alcuni monaci bevevano durante i digiuni, unico alimento permesso, e altre addirittura venivano anticamente considerate medicine o alimenti per agevolare lo svezzamento dei lattanti.
Gli elementi che la compongono sono pochi, essenziali: i cereali, l’acqua, i lieviti e i luppoli, inseriti questi nelle ricette solo dal IX secolo, ma forse anche prima, in sostituzione delle erbe come artemisia e marrubio responsabili prima di definirne gli aromi. Perfettamente orchestrati secondo metodi collaudati nei secoli, ora li troviamo arricchiti dalle contaminazioni locali dei creativi brewer contemporanei, e proposti con nuove originali connotazioni. Spezie, frutta e miele impreziosiscono stile e aromi aggiuntivi, etichette e naming ne raccontano la storia e le origini, eventi dedicati creano curiosità, suggestione e aggregazione e nuove figure emergenti di esperti e sommelier ne promuovono la cultura, la diffusione e gli abbinamenti a piatti e prodotti agroalimentari. Insomma, un nuovo mondo parallelo da scoprire.
Ricordiamo che è solo dal 2016 che esiste un disciplinare e gli abbinamenti e potenzialità sono in pieno fermento. Lancerei una personale sfida, per un dolce che sembra impossibile accostare secondo gli esperti: le seadas, che sono considerate dessert per moderna consuetudine, ma ricordiamoci che sono in realtà un piatto unico contadino, una sublime doppia sfoglia di pastaviolada fritta che fa da astuccio a del pecorino fresco e inacidito , a cui si aggiunge del miele o zucchero in farcitura finale senza però alterarne il gusto, io un’idea di accostamento ce l’ho eh, ma resto umile al mio II livello Ais, e aspetto gli esperti.
Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Shopping Mag di Agosto 2022
FRESA DE ATTUNZU Ve lo racconto perché è davvero il mio formaggio del cuore: da piccola ero l’unica in classe a portarlo a merenda, nel panino, dove gli altri avevano la loro quotidiana fetta di salame o mortadella, e nessuno lo conosceva a quel tempo in città.. ma capivo bene dal modo in cui mia nonna lo prenotava dalla signora che lo faceva in casa, al paese suo, come ce lo presentava tra quelle mani piene di rughe e fatiche, sollevava il panno di lino con cui lo avvolgeva e ce lo regalava come se fosse qualcosa di unico e speciale , doveva essere qualcosa di grande valore… e lo è. Ha il valore plus dell’attesa, è un formaggio che si può gustare per pochi mesi l’anno, in pochissime aree dell’isola, e s’è ne producono pochissime forme.
Il formaggio Fresa de attunzu, è un formaggio a latte crudo a pasta molle, prodotto con latte vaccino , esclusivamente nei mesi autunnali, (come espresso dalla sua definizione in sardo ). In questi mesi il latte delle vacche, spesso ai loro primi parti dell’anno risulta essere molto nutriente, e non a caso il formaggio conserva queste caratteristiche “biodiverse”. E’ un latte che viene munto dopo le poppate dei vitelli già un po’ cresciuti, quello che avanza al loro nutrimento di base quotidiano. E’ ricco di sapori di erba nuova, quella cresciuta dopo la stagione secca, l’erba fresca e ricca di settembre influisce positivamente sulla qualità del latte in questo periodo. Si tratta di un formaggio la cui produzione risale ai tempi antichi, addirittura all’epoca dei Romani, la denominazione Fresa viene dal latino fresus ( schiacchiato), ha infatti una forma schiacciata, di spessore non superiore ai 4,5 cm. rotondo o leggermente quadrangolare, con gli angoli smussati, più basso delle tipiche forme di formaggio dell’isola.
Forme che misurano circa 16/18 centimetri di diametro per 1 kg di peso. La crosta può essere liscia o rugosa nei pezzi più rustici e artigianali, con un bel colore paglierino, ripreso anche nella pasta, compatta ma umida e grassa. Come abbiamo già descritto, questo formaggio artigianale ( Sul mercato è molto difficile trovarlo, in particolare etichettato) ha una produzione del tutto particolare, nel rispetto totale della biodiversità e degli animali. Ha una crosta sottile e morbida, un colore della pasta giallino chiaro tentende al color panna, un sapore fresco e delicato che vira all’acidulo, una consistenza carnosa e avvolgente in bocca e deve essere consumato in pochi giorni , anche se esiste una versione stagionata, più rara, più asciutta e compatta con una crosta un po’ più consistente.
E’ infatti un formaggio ottimo da consumare fresco in accompagnamento ad uva e frutta del periodo ed è ottimo e particolarmente gustoso anche scaldato sulle braci del camino durante le lunghe serate fresche di novembre, o leggermente fuso in padella e gustato su del pane carasau, o ancora meglio, su una sfoglia di “Pane Lentu” ( anche detto “pane modde”, ovvero il pane carasau alla fase della sua prima cottura, prima di essere biscottato, quando ancora somiglia ad una sottile e saporita sfoglia di pane pallido, vagamente affine alla piada). Lasciato sciogliere sulla superficie di una zuppa o una minestra è particolarmente gradito anche dai bambini proprio per il suo gusto burroso.
Il Fresa è un formaggio sardo molto raro, atteso come un dono stagionale, da chi ne conosce e apprezza le caratteristiche peculiari, e val bene la pena di sottolineare che in questi casi è preziosa l’amicizia di un produttore, per riuscire a cogliere l’attimo della sua produzione altrimenti non si riesce nemmeno ad assaggiarlo.
E’ prodotto solo in una ristretta area della Sardegna centro-occidentale, dove vengono allevate le mucche locali nei comuni del Montiferru, Planargia, Guilcier e Marghine. Le mucche locali sono di Razza Bruno Sarda, Modicana e Melina, e vengono allevate al pascolo, sui prati di macchia mediterranea della regione sarda, mi raccontano che un tempo venivano spostate nelle varie zone dove alcuni tipi di erbe spontanee da brucare riuscivano a regalare al latte quelle note speciali e uniche per ottenere il formaggio Fresa perfetto.
Le vacche non vengono forzate nella mungitura, e questo garantisce la concentrazione del poco latte munto a mano, di pochi litri al giorno. Inoltre gli allevatori lasciano che il vitello si nutra e la quota rimanente dopo la poppata può essere munta e destinata alla produzione. La mungitura rispetta gli antichi metodi, tanto che spesso si tiene il vitello accanto alla madre durante la mungitura, come avveniva un tempo.
E’ un formaggio artigianale che viene maturato per soli 25 giorni prima di essere consumato, molto molto legato al territorio e alla cura e conoscenza del proprio bestiame, dei pascoli e della fase di lattazione dei vitelli, dell’epoca perfetta quindi in cui quel latte produrrà quel formaggio Fresa comme il faut. E’ un formaggio che ho conosciuto da piccola, durante le mie vacanze nel Guilcer, e ricordo come mia nonna ce ne faceva dono solo in occasione delle festività tra fine ottobre e i primi di novembre, una primizia fugace e molto apprezzata. In città, a Cagliari, vent’anni fa nessuno la conosceva, per dare un’idea di quanto fosse territorialmente ” di nicchia”.
Sono ancora pochi i caseifici a produrlo, e molto spesso sono gli stessi allevatori e abitanti a produrlo nelle proprie case.
Il giornale Industria Lattiera e Zootecnica, grazie alla penna del professor Fascietti, lo descriveva ai primi del Novecento per la sua genuinità e la lavorazione. Il formaggio viene prodotto riscaldando il latte a 33°C per poi essere aggiustato con il caglio, sia di vitello che di capretto. Una volta coagulato, il caglio viene rotto in piccolissimi pezzetti, grandi quanto una noce, per poi passare all’estrazione della pasta da mettere in fuscelle da rompere ulteriormente per una continua lavorazione a mano, girata più volte. Può essere salato in salamoia oppure a secco. La produzione maggiore avviene in autunno, con latte povero, perché come detto la mucca è a fine lattazione, dei primi parti , il vitello (detto anniurgu) è abbastanza grande e non necessita di un latte particolarmente grasso, ma pur sempre ricco in proprietà organolettiche.
Questo prodotto, come detto, viene lavorato artigianalmente, totalmente a mano, dalle prime fasi di lavorazioni all’ultima,. Il latte viene filtrato, prima di essere lavorato, ovvero riscaldato in caldaia di acciaio, o addirittura di rame. Il caglio aggiunto è in quantità di 20-40 cl, ogni 100 litri di latte, e la coagulazione dura circa trenta minuti, sempre alla temperatura di 33°C. Quando gli artigiani straggono la pasta, dopo la rottura del cagli, dopo un breve riposo , la lavorano con le mani o con panni di cotone per mettere il prodotto negli stampi appositi. Il formaggio viene pressato per eliminare il siero, versando dell’acqua calda 60°C per un paio di minuti. La pressatura è eseguita a mano. Segue poi la pressatura con dei pesi, per circa 8 ore. La fase in salamoia dura dalle 4 alle 18 ore, a seconda delle dimensioni della forma. Oggi il Fresa viene sempre prodotto come descritto agli inizi del Novecento, senza ausilio di alcun additivo o tantomeno conservante, regalando un appagamento gustativo degno di altri formaggi ben più conosciuti e riconosciuti al mondo. E dato il suo carattere prettamente artigianale, gode del favore della legge dal 1997, che ne consente la produzione in deroga.Sono pochi i caseifici a produrlo, e molto spesso sono gli stessi allevatori e abitanti a produrlo nelle proprie case. Difficilmente può essere riprodotto su larga scala proprio perché già variare l’equilibrio ( mediante il mix dei conferimenti dei vari produttori all’industria casearia) e le caratteristiche del latte crudo perfetto che deve diventare Fresa, sarebbe uno step di standardizzazione che inficerebbe il risultato. Possiamo quindi dire che questo formaggio è diretta rappresentazione di come il territorio, la tipicità e la tradizione diano luogo a dei prodotti unici per caratteristiche non casuali, ma frutto di una serie di faticose variabili tipiche di una “lentezza” , del rispetto dell’attesa ,della sensata combinazione di piccoli fattori ambientali e di modalità ricche di semplicità tradizionali, che si son perdute nell’evoluzione di buona parte del cibo presente nelle tavole moderne. Un formaggio quasi sconosciuto, che a raccontarlo riesce ad essere simbolo di tanta ricchezza. Il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali ha inserito la fresa de attunzu nella lista dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali della regione Sardegna (PAT). Un abbinamento perfetto per la sua delicata freschezza? Ne scelgo uno tra i vini sardi che per me è perfetto : Vermentino di Sardegna DOC Costamolino .
Grazie alla giovane Federica, responsabile dell’azienda agricola S’Ungrone di Bonarcado, produttrice di una Fresa strepitosa, per le sue preziose informazioni e la sua grinta di donna sarda . Il giornale Industria Lattiera e Zootecnica, grazie alla penna del professor Fascietti, lo descriveva ai primi del Novecento per la sua genuinità e la lavorazione. http://www.onaf.it/index.php?c=index&a=schedaformaggio&id=370
Focaccia di NATALE : è una focaccia semplice, alta e soffice , suona un po’ come un classico abbinamento rucola e grana? Ma questa volta farcita e vestita da Natale grazie ai colori del pesto di rucola e ai chicchi di melagrana!
Ingredienti per la focaccia
-250 gr di farina zero
-30 grammi di amido di mais
-200 gr di acqua a temperatura ambiente
-65 gr di lievito madre
-20 olio evo
-6 gr di sale
Per la farcitura : pesto di rucola fatto in casa, foglioline di rucola fresca e qualche chicco di melagrana
Ingredienti per il pesto di rucola che sarà ottenuto tritando e amalgamando semplicemente: Un mazzetto di rucola 5 noci Olio evo qb e un pizzico di sale
Procedimento focaccia:
Pesare gli ingredienti e miscelare le farine , aggiungere l’acqua e impastare il tutto aiutandosi con una forchetta. Aggiungere il lievito madre spezzettandolo in piccole parti. Appena amalgamato il tutto lasciare a riposo 15 minuti. Poi aggiungere olio e sale, impastare delicatamente per qualche minuto finché si sente l’impasto liscio ed elastico. Ungere una teglia (va benissimo una teglia da 25 o 28 cm di diametro) e sistemarlo delicatamente sul fondo, facendo pressione con i polpastrelli ben unti d’olio, lentamente e delicatamente.
Lasciare così in forno spento, a lievitare per 6 ore circa. Trascorse le 6 ore la focaccia sarà raddoppiata di volume, esercitare un po’ di pressione sulla superficie unta e infornare a forno caldo a 200°. Coprire la teglia con foglio di carta stagnola senza che questo tocchi la superficie della focaccia. Meglio usare una teglia col bordo alto.
Cuocere per 15/20 minuti .Togliere la carta forno, spalmare delicatamente la superficie con uno strato di pesto, e cuocere per altri 15 minuti. Gli ultimi 5 minuti con il calore solo sulla parte inferiore del forno.
Sfornare e condire con della rucola tritata fresca e decorare con i chicchi di melagrana per avere un effetto ” alberodi Natale” . Da mangiare tiepida é ancora meglio: il gusto é sublime !
Agosto è finito e i pomodori meravigliosi e abbondanti di questa annata sono stati egregiamente messi “da conto” anche quest’anno: si sono riempite le case, le dispense di tutto il sud di pomodori secchi , quelli da serbo appesi al sicuro e in conserva. Le ricette dell’inverno sono salve.
Ilfilindeuè un tipo dipasta tradizionale, molto antica e ricca di leggende intorno alla sua reale provenienza e origine del suo nome, è fatta soltanto a mano, di sola semola di grano duro e acqua, lavorata in modo sapiente da poche donne dell’isola, attualmente meno di dieci, che si tramandano da generazioni l’antica tecnica,
Tagliatelle al ragù di bruschetta scomposta,diventata pangrattato & co.
Vi spiego:
il #wednesdayrecipesday, il nostro mini contest settimanale, dedicato alla bruschetta vincitrice del contest di agosto.. e ai suoi ingredienti che io ho trasformato in ragù per le tagliatelle :
Il pane, prodotto con fatica, rispetto e materie di prima qualità non può che essere ritenuto un prezioso ingrediente anche da secco, dopo giorni o settimane, se ben conservato può essere trasformato in gustosi piatti dal gusto antico…
Lo Pan ner. Appena sfornato in onore della festa dedicata che si svolgerà tra qualche settimana in molti villaggi della Val d’ Aosta. https://www.lopanner.com/main/
Zucchine al formaggio caprino, ovvero alla caprina. La mia versione light , delle ben più note cugine melanzaneAllaParmigiana , più famose e replicate world wide web .
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