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ORO LIQUIDO La birra artigianale

 

Sembrava una moda fugace dei primi anni duemila, la passione di qualche homebrewer amatoriale, o una mera trovata di marketing di scaltri e consumati produttori? Invece no, la ri-scoperta delle birre artigianali è una ventata di tradizione, la celebrazione edonistica di un archeo-food in grande stile, che merita un’attenzione almeno pari a quella che i mastri birrai dedicano alla scelta di aromi, fermentazioni, colori e carbonazioni uniche e particolari e che l’industrializzazione ci ha fatto un po’ dimenticare, appiattendo e semplificando gusti e tipologie.

Sono i dettagli e le sfumature che caratterizzano un prodotto artigianale e nella birra costruiscono la moltitudine di sensazioni, in bocca.


Un po’ come è accaduto col pane nell’ultimo decennio, e la birra l’abbiamo sentita definire spesso “pane liquido” per la sua affine composizione, dopo anni di passivo consumo di pallide fette imbustate e panini sintetici in stile fast food, grazie alla tenacia di alcuni panificatori artigianali si è fatta strada la consapevolezza di ciò che significa discernere in fatto di pane vero, di sfarinati e lieviti utilizzati, di tempo e aspettative ,tutti elementi che cambiano il vero degustare.

La birra artigianale, che non è pastorizzata per disciplinare, conserva una ricchezza in vitamine, sali minerali e polifenoli che la rendono un alimento a tutti gli effetti. Ci sono birre infatti che alcuni monaci bevevano durante i digiuni, unico alimento permesso, e altre addirittura venivano anticamente considerate medicine o alimenti per agevolare lo svezzamento dei lattanti.

Gli elementi che la compongono sono pochi, essenziali: i cereali, l’acqua, i lieviti e i luppoli, inseriti questi nelle ricette solo dal IX secolo, ma forse anche prima, in sostituzione delle erbe come artemisia e marrubio responsabili prima di definirne gli aromi. Perfettamente orchestrati secondo metodi collaudati nei secoli, ora li troviamo arricchiti dalle contaminazioni locali dei creativi brewer contemporanei, e proposti con nuove originali connotazioni. Spezie, frutta e miele impreziosiscono stile e aromi aggiuntivi, etichette e naming ne raccontano la storia e le origini, eventi dedicati creano curiosità, suggestione e aggregazione e nuove figure emergenti di esperti e sommelier ne promuovono la cultura, la diffusione e gli abbinamenti a piatti e prodotti agroalimentari. Insomma, un nuovo mondo parallelo da scoprire.

 

Ricordiamo che è solo dal 2016 che esiste un disciplinare e gli abbinamenti e potenzialità sono in pieno fermento. Lancerei una personale sfida, per un dolce che sembra impossibile accostare secondo gli esperti: le seadas, che sono considerate dessert per moderna consuetudine, ma ricordiamoci che sono in realtà un piatto unico contadino, una sublime doppia sfoglia di pasta violada fritta che fa da astuccio a del pecorino fresco e inacidito , a cui si aggiunge del miele o zucchero in farcitura finale senza però alterarne il gusto, io un’idea di accostamento ce l’ho eh, ma resto umile al mio II livello Ais, e aspetto gli esperti.

Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Shopping Mag di Agosto 2022

 

 

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Filindeu in cialde gratinate con pecorino noci e castagne

Il filindeu è un tipo di pasta tradizionale , molto antica e ricca di leggende intorno alla sua reale provenienza e origine del suo nome, è fatta soltanto a mano, di sola semola di grano duro e acqua, lavorata in modo sapiente da poche donne dell’isola, attualmente meno di dieci, che si tramandano da generazioni l’antica tecnica,

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Millefoglie di carasau e crema di cioccolato

Il pane carasau è perfetto da sgranocchiare da solo e meravigliosa base per infinite ricette, così leggero, asciutto e croccante o anche umido e farcito con altri sapori. E nel blog ci sono diverse idee salate in effetti. In questo caso, la mia ricetta è dolce, un dessert semplicissimo e sempre molto gradito, da comporre con pochi ingredienti :

-pane carasau

-crema di cioccolato fondente o anche cioccolato in tavoletta da sciogliere

-zucchero a velo

Ho prima di tutto inumidito il pane carasau con un po’ d’acqua e adagiato su dei panni da cucina perché rimanga umido, non troppo bagnato e senza crepe. Ho ritagliato tanti quadratini uguali (da 6 x 6 cm più o meno) per poi sovrapporli a strati, almeno 7, uno sull’altro .

Ho spalmato delicatamente su ogni strato una dose di crema di cioccolato e disposto in teglia su un foglio di carta da forno. Bastano pochi minuti di forno, a 180 gradi, (con il mio 10 minuti in modalità statica) e sono pronti.

Innevateli con un po’ di zucchero a velo appena impiattati, se vi piace l’idea, rendono ancora meglio. Croccanti alle estremità e morbidi e cremosi dentro, si tagliano con una forchetta.

Un dessert veloce, pratico e di sicuro gradimento.

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Pane a fittas di Ozieri

Non è una pasta ma é “Pane a fittas” con scampi freschi zafferano e scaglie di bottarga. Ristorante La Torre @salva_polo. Il pane sardo di cui parlavo nel post precedente? Il pane fine di Ozieri.

Il pane, alimento sacro e fondamentale in tavola, che se si prepara bene non si butta via mai, neanche un pezzetto, e anzi gli si concede una seconda vita. “” anticamente preparato in casa, con l’uso del lievitomadre, nel proprio fornoalegna, conservato a lungo nella madia, appena si seccava un po’ veniva poi preparato come una pasta.. Quindi tagliato a pezzetti, messo un po’ a bollire e condito come dei maltagliati, dei ravioli, ecco. E fatto così si chiama Pane a fittas, ecco qua un esempio, delicatamente saporitissimo.
Qui siamo al #ristorante La Torre di @salva_polo

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I dolci quartesi delle feste

Si é appena conclusa la festa patronale di Quartu Sant’Elena e il profumo di mandorle e zucchero qui é ancora nell’aria. In occasione delle feste popolari, dei matrimoni e battesimi, in tutta l’isola si preparano dei dolci che hanno pochi e semplici ingredienti antichi in comune, con il protagonismo di mandorle, zucchero, miele e aromi come cannella e agrumi, ma con ricette, modalità e decorazione sopraffina che solo le maestre di ogni paese possono realizzare.

Oggi vi porto con me a Quartu Sant’Elena nel negozio di dolci delle sorelle Piccioni: a pochi passi dalla chiesa della patrona della città , Sant’Elena, un luogo storico, un punto di riferimento, un piccolo museo attivo di tradizione e vocazione che ho sempre conosciuto esattamente così da quando ero piccola.

Quella vetrina in legno, anche da chiusa emana profumi di vaniglia mandorle e cannella che inondano la strada antistante. Sono entrata, intenzionata a comprare qualche dolce per la pausa caffè in studio, ma la signora mi ha regalato un vassoio di ogni ben di Dio.

In realtà credo si sia accorta della mia faccia da Gretel, la famosa sorella di Hansel, appena ho messo piede nel suo negozio, fatto due passi su quei tappeti sardi appoggiati sui pavimenti di graniglia, ho puntato la vetrina adorna di pizzi fatti all’uncinetto e carta velina rosa intagliata, e lì, la mia reflex emozionata, ha cominciato a scattare da sola.

La signora Piccioni mi accoglie con un sorriso, mi accarezza una guancia e mi offre delle palline tiepide di pasta di mandorle da un vassoio di peltro,

palline morbide appena fatte che di lì a poco sarebbero state plasmate per diventare gueffus, candelaos e scarpette decorate, mi ha spiegato. Come queste in foto..

Mi ha raccontato di quando li ha preparati per Dolce e Gabbana e di quante interviste e articoli sui giornali vedano protagoniste lei la sorella e la nipote che gestiscono l’attività , mi ha anche fatto assaggiare le ciambelline alla cannella più friabili del pianeta, impastare con una tecnica speciale, a mano,

e mostrato le foto color seppia della loro mamma cui devono tutta la loro arte. Raccontava e decorava contemporaneamente tenendo tra le dita la sua piccola sac a poche, grande quanto un peperoncino calabrese e non di più, per adornare di glassa reale tutti i dolcetti prodotti. Il dolce più semplice é chiamato durche de su poburu (dolce del povero, ed è il meno decorato e di grosse dimensioni),

il dolce più sofisticato invece, quello da donare al sindaco, o al dottore del paese: un intero salottino sfarzosamente decorato come questo:

Carina, entusiasta, dice con passione e leggerezza di essere invecchiata là, in quel laboratorio di gioiellini per le feste, sorridente e piena di verve, nella sua divisa bianca e rosa esattamente come la vetrina, in nuance con i gueffus, quei dolcetti chiusi nella carta velina sfrangiata come caramelle antiche, che tutti voi, se siete stati almeno una volta in Sardegna avete assaggiato a fine pasto. E se non l’avete ancora fatto ora sapete cosa cercare…

Ecco un Collage-video per riassumere :https://www.robadanatti.com/2018/09/19/quartu-santelena-i-dolci-della-festa/

Ne parla anche Cristiana Grassi in un contributo del Gran Tour per la associazione italiana Food Blogger di cui sono socia, ecco il prezioso articolo sul sito dell’ Aifb

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Su Pratt’e Cassa, cucina di una Sardegna antica.

Letteralmente “piatto della caccia” , in realtà una pentola usata anticamente per cuocere la cacciagione, ma perfetta anche per pesci e verdure, a fuoco lento, sulla brace.

I pastori lo portavano con sé, lo legavano all’asino, ci raccontano, e al bisogno diventava una comodissima pentolaapressionepuntozero, e anche un piatto, anzi due: la base e il coperchio. Esempi di tegami a cottura lenta sulle braci li abbiamo anche in altri paesi mediterranei, la cottura nella Tajine tunisina é molto simile sebbene si tratti di un manufatto in coccio, o anche la Cataplana, un tempo in ferro, in rame e oggi prodotta in alluminio in Portogallo. In Sardegna, viene ancora realizzato a mano da qualche artigiano (come Luigi Pitzalis per esempio a Isili ) che tiene viva la sua tradizione e utilità : il rame in cottura ha il merito di tenere omogenea la temperatura su tutta la superficie del tegame apportando un vantaggio sorprendente al cibo, che non va neanche girato, si tiene chiuso tra le due calotte bombate di questa navicella spaziale, e lentamente si cuoce.

Gli aromi e i profumi, in quel lento lavorìo, restano dentro al cibo cui appartengono , amalgamandosi gli uni con gli altri. È qui che ho conosciuto questa pentola : un pranzo da DomuAntiga, a Gergei, un grazioso paese nel cuore del Sarcidano,

dove i proprietari, che usano questi tegami da sempre, hanno deciso di farceli conoscere durante uno Slow-cooking-show. Hanno preparato un menù di bontà locali meraviglioso.

Tutto cucinato in una decina di Pratt ‘e cassa: dalla fregola (mai mangiata una fregola così buona, credetemi ), alle verdure in ratatouille , il pollo ripieno, l’agnello, il cavolo intero stufato e aromatizzato, le patate, il piccione e le trote del fiume qua vicino.. E molto altro. Un ricco pranzo dai sapori antichi. Noi commensali tutti deliziati dalla genuina semplicità e dai suoi effetti speciali.

Presente anche il Tg di Videolina , per parlare di questo caratteristico e antico utensile, dalle meravigliose potenzialità eppure così antico.

Come ho fatto a non conoscere prima questo prezioso Pratt’e Cassa? …? Ora ovviamente me lo voglio comprare, farò spazio in credenza, nella mia piccola cucina perché davvero merita un posto d’onore.