Direttamente ispirata alla ricetta delle aranzadas, [che sono dei dolcetti sardi tipici del Nuorese, a base di scorze d’arancia caramellate nel miele e mandorle, molto apprezzati e raffinati , ma meno conosciuti di molti altri dolci decorati, da forno e da pasticceria],
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La parola mostra fa pensare forse ad una organizzazione di reperti e talloncini datati disposti in fila e illuminati da piccoli led? A teche blindate e frammenti da interpretare?
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Passeggiare per le vie di Ozieri e viverla per qualche giorno da ospiti é stato un dono, quel centro storico elegante ed esteso, la sua storia
e il cibo della tradizione conquistano.
Non è una pasta ma é “Pane a fittas” con scampi freschi zafferano e scaglie di bottarga. Ristorante La Torre @salva_polo. Il pane sardo di cui parlavo nel post precedente? Il pane fine di Ozieri.
Il pane, alimento sacro e fondamentale in tavola, che se si prepara bene non si butta via mai, neanche un pezzetto, e anzi gli si concede una seconda vita. “” anticamente preparato in casa, con l’uso del lievitomadre, nel proprio fornoalegna, conservato a lungo nella madia, appena si seccava un po’ veniva poi preparato come una pasta.. Quindi tagliato a pezzetti, messo un po’ a bollire e condito come dei maltagliati, dei ravioli, ecco. E fatto così si chiama Pane a fittas, ecco qua un esempio, delicatamente saporitissimo.
Qui siamo al #ristorante La Torre di @salva_polo
Il liquore di Mirto è molto famoso in Sardegna, ma la pianta forse anche di più.
Letteralmente “piatto della caccia” , in realtà una pentola usata anticamente per cuocere la cacciagione, ma perfetta anche per pesci e verdure, a fuoco lento, sulla brace.
I pastori lo portavano con sé, lo legavano all’asino, ci raccontano, e al bisogno diventava una comodissima pentolaapressionepuntozero, e anche un piatto, anzi due: la base e il coperchio. Esempi di tegami a cottura lenta sulle braci li abbiamo anche in altri paesi mediterranei, la cottura nella Tajine tunisina é molto simile sebbene si tratti di un manufatto in coccio, o anche la Cataplana, un tempo in ferro, in rame e oggi prodotta in alluminio in Portogallo. In Sardegna, viene ancora realizzato a mano da qualche artigiano (come Luigi Pitzalis per esempio a Isili ) che tiene viva la sua tradizione e utilità : il rame in cottura ha il merito di tenere omogenea la temperatura su tutta la superficie del tegame apportando un vantaggio sorprendente al cibo, che non va neanche girato, si tiene chiuso tra le due calotte bombate di questa navicella spaziale, e lentamente si cuoce.
Gli aromi e i profumi, in quel lento lavorìo, restano dentro al cibo cui appartengono , amalgamandosi gli uni con gli altri. È qui che ho conosciuto questa pentola : un pranzo da DomuAntiga, a Gergei, un grazioso paese nel cuore del Sarcidano,
dove i proprietari, che usano questi tegami da sempre, hanno deciso di farceli conoscere durante uno Slow-cooking-show. Hanno preparato un menù di bontà locali meraviglioso.
Tutto cucinato in una decina di Pratt ‘e cassa: dalla fregola (mai mangiata una fregola così buona, credetemi ), alle verdure in ratatouille , il pollo ripieno, l’agnello, il cavolo intero stufato e aromatizzato, le patate, il piccione e le trote del fiume qua vicino.. E molto altro. Un ricco pranzo dai sapori antichi. Noi commensali tutti deliziati dalla genuina semplicità e dai suoi effetti speciali.
Presente anche il Tg di Videolina , per parlare di questo caratteristico e antico utensile, dalle meravigliose potenzialità eppure così antico.
Come ho fatto a non conoscere prima questo prezioso Pratt’e Cassa? …? Ora ovviamente me lo voglio comprare, farò spazio in credenza, nella mia piccola cucina perché davvero merita un posto d’onore.
Dalla foto qui sembra la Camargue , su una pagina di un numero di Dove, ma è Sardegna, precisamente Sulcis, territorio di San Giovanni Suergiu: un paese nel sud ovest dell’isola. Un percorso, che più che una passeggiata è una bolla sensoriale a trecentosessantaMILAgradi. Inizia subito, mi emoziono da appena mi portano la cavalla dagli occhi dolci, monto sulla sella nonostante la mia sciatalgia da commercialista in vita sedentaria, ed è già tutto bellissimo, un sabato pomeriggio di sole, ero in studio fino a due ore fa, e adesso sono qui sul suo manto tiepido , e lei stretta tra le mie ginocchia zampetta morbida verso il mare, sembra ti legga nel pensiero, come dice giustamente Candido, che la sa lunga.
La accarezzi perché è lì con te, e sarà il tuo mezzo di trasporto animato per le prossime due orette, e ti sembra così bello, sempre abituata all’auto, all’abitacolo chiuso , al microcosmo pieno di manopole e pulsanti da pigiare .Non cambi marcia, basta un lieve contatto , una piccola pressione di un tuo ginocchio, le mani, o i tuoi piedi perchè lei ( Vanitosa , questo il suo nome) capisca che è il caso di fermarsi, di cambiare direzione, di andare al trotto o di smetterla di rimpinzarsi di erba e fiori, e procedere. E non accendi lo stereo: ci sono intorno gli uccellini che fanno la loro musica, e il vento tra i capelli che ha un bel ritmo soffuso. Attraversiamo campi di orzo pettinati dal vento, praterie di un verde intenso puntinato di lilla quando ci sono gli iris selvatici, di bianco dove crescono le margherite, di giallo arancio perché è il turno delle calendule … poi ci sono orchidee selvatiche e microfiorellini colorati di tutti i tipi, e asparagi, rovi di more in piena crescita… Quando ci avviciniamo alla laguna, entriamo in una distesa infinita di giunchi e, nei bordi dei sentieri sono allineati milioni di fiori di aglio selvatico, l’aria si fa più salina e la respiri a pieni polmoni, perchè senti che ti piace, ti piace tutto… quando poi ci troviamo sullo specchio d’acqua della laguna dove si riflettono le nostre ombre da centauri, diventa tutto ancora più magico, siamo praticamente sul mare, sulla costa occidentale dell’isola sarda e di fronte alle altre due isole piccole: Sant’antioco e San Pietro e il vento soffia forte e fresco.
Potrei piangere di gioia, mi gusto ogni istante, filmo qualche minuto con il cellulare e poi ricaccio dentro lacrimuccia e il telefono perché potrebbero finire entrambi nell’acqua ecco…
Candido capeggia sulla sua cavalla, con la sua postura sicura e serena da vero cowboy, ci fa da cicerone, ci racconta della sua vita dedicata ai cavalli, del suo maneggio che gestisce con il figlio Manolo, e dei loro 21 cavalli in una scuderia che porta avanti da più di 40 anni , e son tutti sani e forti, tenuti allo stato brado e nutriti in modo totalmente naturale, a millimetro zero. E sorride, sorride tanto, mentre sprizza entusiasmo e gioia di vivere ad ogni sillaba. Lui è nato col pallino dei cavalli, gli parla, li sfiora e loro si siedono, si fermano, trottano o si inchinano come se fossero telecomandati, è un domatore di cavalli lui, ci spiega fiero, che già a sentire questa parola, io viaggio , e penso a tutti i cavalli delle Sartiglie che ho visto, ai Lipizzani di Vienna e a quelli della zucca trasformata in carrozza del film di Cenerentola, perchè sono un’inguaribile romantica io e la definizione domatoredicavalli mi fa viaggiare così.
Candido intanto parla con noi, ci conduce al guado dei piccoli ruscelli lungo il percorso e saluta il pastore del gregge là vicino, alla sarda maniera..
Ci mostra le faraone libere a razzolare nei campi, parla al cellulare, ci dice quanto tiene al bello della Sardegna e a quanta passione mette in quello che “semina” come sottolinea lui .
Ci invita ad unirci al gruppo di francesi che faranno con lui il tour delle tre isole, con un percorso meraviglioso che arriva fino alle dune di sabbia, al mare e attraversa i siti archeologici della zona, e mi promette che mi farà un corso accelerato da cavallerizza provetta così mi unisco eccome al gruppo di francesi. Senza i dolori da sella che ho oggi .
Se volete verificare se ho raccontato bene questo posto andateci, e riferitemi. Maneggio Sulcis http://www.trekkingsardinia.it/
La paesitudine é uno stato mentale, un sentimento e una poesia insieme.
Se non hai mai vissuto in un paese , forse neanche immagini cosa possa essere..un paese piccolo intendo, non certo un paese che fa di tutto per riempirsi di modernità importate a forza, che sovente, rinnega e spreca la propria poesia.
Non si riesce a spiegare a parole, si può solo sentire, e poi ricordare, e infine , sentirne la mancanza.
Si, sentire la mancanza di quei profumi di caminetto, di legna comprata ad agosto e accatastata in cortile per l’inverno, di semola da impastare, di zucchine fritte che esce dalle case e di rugiada al mattino, perché sui muri di pietra la rugiada ha un profumo bellissimo. Ah, anche la pioggia ha un altro profumo in paese.
E di suoni di zoccoli di cavalli che riecheggiano per strada, di campane e di conversazioni in dialetto.
Abitare in un piccolo paese, uno di quelli che abbiamo noi qua nell’isola, e sentirsene parte é alla base della più genuina e salutare forma di comunità attiva e rassicurante .
Dovrebbe essere una materia di studio esperienziale da insegnare, da condividere a scuola, perché è parte integrante della nostra storia evolutiva, della nostra cultura di popolo. Dovrebbe essere buona abitudine trascorrerci almeno un mese all’anno. Una terapia efficace contro la diaspora dei valori identitari e della semplicità dell’essere.
Il fattore tempo e il fattore spazio, hanno connotazioni diverse. Il concetto di stress, di non-trovo-parcheggio, non pervenuti.
Il cibo ha dei gusti inimitabili.
E gli occhi della gente tutti da fotografare.
Un mese fa a Nughedu Santa Vittoria :
Una cena nel borgo, frutto di un impegno serio, che salvaguarda prima di tutto il paese, la gente e il territorio tutto e offre questo ai pochi commensali che ne vogliono cogliere l’essenza. Un giusto e pioneristico mix di modernità, web managing e la genuina lentezza della paesitudine, una serata magica, sotto il cielo stellato dell’estate 2017.
Shhh…Shooting sheeps..!
Fotosequenza rivelatrice della mansueta obbedienza e buona fede di gregge:
Intravvedo un gregge che fa un sonnellino all’ombra in un torrido pomeriggio sardo.
Accosto.
Parcheggio.
Afferro la reflex, scendo dall’auto e inizio a scattare[foto1]. Probabilmente il click ne desta una , o il maremmano che le guida…si alzano due o tre di loro. Poi quattro o cinque. Poi tutte corrono verso di me , come se la mia figura, il mio vestito celeste o il click della macchina fotografica le avesse richiamate. Per un secondo mi sono sentita Pastora, e il secondo dopo ho realizzato quanto avanzassero veloci [foto 6]
Corro verso l’auto, prendo una storta perché ho i tacchi,( che razza di pastora oh), salgo in macchina e metto in moto.
Mi fermo poco più avanti e le osservo tornare indietro lemmelemme e sconsolate verso l’ombra della loro siesta. Mi sono sentita pure in colpa, l’idea di trovarmi il gregge da gestire e il loro pastore probabilmente inquieto per l’accaduto mi hanno costretto alla fuga. Però che bellissime loro 💙…